Corriere della Sera
L’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti è già passato di qua. Ha già vissuto le ondate del mercato, gli interrogativi su cosa sia dietro l’angolo.
Secondo Banca d’Italia potrà esserci instabilità finanziaria nei giorni del referendum. Condivide?
«La ragione si basa sul nesso causa-effetto, la superstizione sulla giustapposizione: mi sono svegliato e dunque il sole è sorto. C’è stato il Sì e dunque si è evitato il buio. La capacità delle banche centrali di interpretare la realtà politica tende da ultimo verso il basso. Google non perdona».
Ma è sbagliato pensare che una vittoria del No al referendum agiterà i mercati?
«Mi risulta l’opposto. Se Matteo Renzi resta con il dissesto finanziario che ha creato, con le promesse fatte, con le difficoltà che avrebbe a tornare indietro, a non essere se stesso, il rischio vero è proprio che resti. Non che vada. Con Renzi si stabilizza il rischio».
Ma se gli investitori si convincono che i mercati crollano se vince il No, non avvereranno i loro stessi timori vendendo i titoli italiani?
«Una certa esperienza in questo senso ce l’ho e, anche improvvisa e violenta. Nel maggio del 2011 la Banca d’Italia diceva che la gestione del bilancio era stata “prudente”. E che le correzioni da fare in Italia erano “inferiori a quelle necessarie nel resto d’Europa”. Poi tutto è crollato con un’azione esterna e violenta».
Ma ora?
«Il bilancio va ormai contro la logica della ragionevole prudenza. Non è questione di decimali ma di numeri interi. Nessun Paese può fare troppo a lungo più deficit che Pil. Nessuna famiglia può fare troppo a lungo più spese che entrate. I tassi saliranno, il sostegno della Bce declinerà, la speculazione anticiperà tutto questo».
Perché gli interessi a cui si finanzia lo Stato dovrebbero rincarare?
«Non solo per il movimento internazionale dei tassi. Anche perché la Bce prima o poi deve entrare in una prospettiva di graduale riduzione degli acquisti dei titoli di Stato. Il Pil va verso lo zero, il deficit oltre il 3%, la magica stagione dei tassi zero sta finendo».
Deficit oltre il 3%, sicuro?
«Le coperture sono una tantum, o una pocum. Dove sarebbe lo spread, se non ci fossero gli interventi della Bce? Drammaticamente peggio che nell’autunno 2011, ben oltre i 500 punti. Se la Banca d’Italia facesse come allora una simulazione su questo punto, le saremmo tutti grati».
Monte dei Paschi e altrebanche saranno in grado di trovare sul mercato i capitali che sono loro così necessari, se vincesse il No?
«Se l’alternativa fosse il Sì o l’apocalisse, potremmo ragionare. Ma siccome non è così, dubito che l’articolo uno della nuova Costituzione materiale di Renzi possa dire che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei termini definiti nei contratti bancari. È stato inappropriato e imprudente segnalare che ci sono i soldi solo se passa il Sì. È una tecnica usata nei capitolati ottomani».
Se poi i soldi non ci fossero davvero, servirebbe un aiuto europeo per le banche?
«Da cinque anni non mi occupo più di questa materia, ma un intervento pubblico lo considererei giusto. Il risparmio è un bene pubblico».
Con risorse europee o del governo italiano?
«In Spagna è stato un misto, no? Ma non saltiamo a conclusioni affrettate. Se passa il No non succede nulla, anzi il sistema politico si rafforzerà e permetterà di gestire meglio le crisi in arrivo».
Auspica una grande coalizione contro le forze anti-sistema?
«La mia impressione è che la politica, scontando il No, si stia organizzando sulla politica stessa. Ovvero sulla legge elettorale. Il governo si è sviluppato per tre anni in assenza di realtà — tassi zero, soldi gratis — ma la realtà torna con la durezza del tempo di ferro che arriva. Che vinca il Sì o il No. Non è solo questione di referendum o di strategie di palazzo, ma di realtà che torna e chiede gli interessi. Su questo scenario necessario uomini e idee sono tutti da identificare».
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Intervista al Prof Giulio Tremonti da Federico Fubini
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