La Corea del Nord al sesto test nucleare

Mondo

di Paolo Balmas

Lo scorso 3 settembre 2017, la Corea del Nord ha portato a termine il sesto test nucleare presso il complesso di Punggye-ri. L’esplosione controllata ha provocato, anche questa volta, un terremoto. Secondo i vari osservatori, la scossa che ne è scaturita ha raggiunto una potenza compresa fra i 5,7 e i 6,3 gradi. Si tratta dell’effetto più violento registrato fino a oggi e indica il sostanziale potenziamento degli ordigni nucleari nordcoreani. Il test è stato accompagnato da una campagna mediatica riportata sul quotidiano più diffuso di Pyongyang, che ritraeva un’immagine del leader Kim Jong Un durante un’ispezione del potenziale nucleare.
Secondo quanto riportato dalla Press Association, l’articolo diffuso in Corea del Nord mostrava che le testate all’idrogeno sono pronte per essere inserite nei missili intercontinentali sperimentati con successo lo scorso luglio. Ciò vorrebbe dire che il problema della miniaturizzazione delle testate è stato risolto e Pyongyang ha fatto un balzo tecnologico in avanti che le permette di armare i missili. Il test, chiaramente, è stato portato a termine contro le sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e dopo aver ignorato le numerose richieste di distensione. Tuttavia, non va dimenticato che una porzione importante, fondamentale delle attività nucleari di Pyongyang ha una dialettica del tutto interna. Il governo di Kim, infatti, è principalmente intenzionato a mantenere la propria presa sulla popolazione attraverso la narrazione della minaccia imperialista occidentale, che si manifesta attraverso la dislocazione del sistema missilistico THAAD in Corea del Sud. Il Nord di Kim, secondo molti analisti, è sempre più vicino al disastro economico. Secondo il presidente Putin, il governo di Pyongyang non abbandonerà mai questo duplice obiettivo interno/esterno, “piuttosto mangerà erba”, dato che si è convinto che ciò che è accaduto all’Iraq e alla Libia è evitabile unicamente attraverso il deterrente nucleare.

La reazione al test, per il momento ancora verbale, è stata dura. Pechino ha condannato l’atto e, come Tokyo, Seoul e Washington, lo ha definito come inaccettabile. Il premier giapponese, Shinzo Abe, ha condannato le attività della Corea del Nord come una minaccia per la pace mondiale. Il presidente Trump ha sentenziato che un avvicinamento a Pyongyang non può funzionare. Sembra che l’Amministrazione americana si stia irrigidendo sulla posizione dello scontro inevitabile; un atteggiamento che si è andato rafforzando da quando Steve Bannon, ex stratega di Trump si è dimesso lo scorso agosto. Attraverso Twitter, Trump ha minacciato di bloccare ogni rapporto con i paesi che intrattengono rapporti commerciali con la Corea del Nord. Un’idea pericolosa e ingiustificata secondo Pechino, che rappresenta il principale partner commerciale di Pyongyang. Si dà per scontato, in seguito alla comunicazione informale di Trump, che la Casa Bianca abbia già impedito di intrattenere relazioni alle proprie imprese con la Corea del Nord, alla quale gli Usa attualmente vendono petrolio, fra le altre cose.
Il presidente Putin, durante il summit dei Brics, inaugurato nella città cinese di Xiamen lo stesso 3 settembre, ha espresso al collega Xi Jinping l’auspicio di collaborare insieme per mantenere la pace nel mondo. Intanto, accuse forti giungono dalla Corea del Sud del neopresidente Moon Jae In, che chiede il massimo sforzo diplomatico e minaccia di mettere in atto gli “strongest strategic assets”, però senza ancora rivelare quali siano questi assets.

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