Sulle conseguenze politiche ed economiche del ritorno del legislatore sovrano occulto
di Paolo Savona
Se il problema di un’Europa che non funziona viene limitato a una disputa sulla necessità di avere una politica economica che spinga la domanda aggregata attraverso una maggiore spesa pubblica e più moneta o una più impegnata sull’offerta attuando riforme più incisive non troveremo mai un accordo, perché gli economisti e i policy makers ne discutono da tempo senza raggiungere un consenso e l’osservazione della realtà non aiuta a dirimere la disputa.
All’origine della perdita di consenso sull’Unione Europea e sul suo principale strumento d’azione, l’euro, vi è una diversa concezione dei modi in cui la politica intende gestire una società, contrariamente a quanto sostiene il materialismo storico che vede una relazione inversa dove l’economia domina la politica. Da questo punto di vista, la gestione delle società europee è di tipo materialistico, proprio quando questa corrente di pensiero è risultata sconfitta dalla storia, almeno nella sua configurazione di tipo sovietico.
L’analisi che segue ha forti matrici idealistiche perché ipotizza che l’uomo preferisca vivere in un regime politico che garantisca le sue libertà, tra cui il benessere, pur attribuendo a esse diversi contenuti. Il dibattito su quali siano questi contenuti e le lotte per raggiungere le diverse libertà datano da millenni. Per semplicità di analisi ricorderemo solamente Platone, che individuò cinque possibili regimi di governo: aristocrazia (comandano le élite), timocrazia (comandano i più ricchi), oligarchia (comanda un gruppo ristretto di persone), democrazia (comanda il popolo) e oclocrazia (comandano le masse).
Fin dagli albori del dibattito il riconoscimento e godimento delle libertà venne individuato nel rispetto della «regola della legge» allo scopo di sottrarsi agli arbitri della volontà del sovrano e dei gruppi dominanti (ricchi, clero e militari). La prima significativa attuazione è convenzionalmente individuata nella «Magna Carta Libertatum» del 1215 che regolò il rapporto tra il Re Giovanni di Inghilterra e i suoi Baroni, ma la rivendicazione mise in moto un processo politico che giunse alla «Dichiarazione dei Diritti» (Bill of Rights) del 1689 a seguito della Gloriosa Rivoluzione inglese e proseguì fino alla «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino» del 1789 a seguito della Rivoluzione francese, passando dalla «Dichiarazione di Indipendenza» degli Stati Uniti del 1776. Al termine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1948, la neocostituita Organizzazione delle Nazioni Unite ha promulgato la «Dichiarazione universale dei diritti umani».
All’inizio di questo processo il potere legislativo assoluto del sovrano fu sottoposto a vincoli di controllo e determinazione di altre élite, generando Carte, Dichiarazioni, Statuti e Costituzioni; di seguito il popolo prese il controllo del processo decisionale divenendo quello che venne definito un «legislatore collettivo».
A seguito di questa evoluzione politica emerse la necessità di dare una base istituzionale alle libertà conquistate, individuando nel Parlamento l’organo che emana le leggi e nello Stato l’organo che ne garantisce il rispetto. Sui Governi grava il compito di attuare la volontà democratica, pur disponendo di poteri di proposta legislativa e di regolamentazione. Nel contempo emerse gradualmente la necessità di affidare al mercato un ruolo politico di rilievo nel processo di tutela delle libertà.
Sui contenuti delle leggi costituzionali esistono due approcci istituzionali:
- quello di indicare i diritti e i doveri dei cittadini (che per semplicità possiamo indicare nelle tesi di J. S. Mill), come in quasi tutte le Costituzioni vigenti, inclusa quella italiana,
- e quello di indicare invece i limiti di intervento dello Stato (tesi di Humboltd) per proteggere indirettamente i cittadini dalla sua invasività, come deciso per la Costituzione della Confederazione americana.
Qualsiasi sia l’approccio, deve però prevalere sull’organizzazione pubblica il principio della divisione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giurisdizionale (tesi di Montesquieu).
Inizialmente si parlava di singole libertà, ma quando queste si sono ampliate in numero e nei contenuti è sorta l’esigenza di creare un corpo unico che ha dato vita al liberalismo, che consiste nella ricerca di in un sistema coerente di libertà.
Come consuetudine si individua nei lavori di John Locke la matrice analitica di questa costruzione. Essa racchiude in sistema quattro grandi categorie di diritti individuali:
- alla vita;
- alla libera espressione del pensiero e dell’azione;
- alla proprietà;
- all’eguaglianza.
Nel tempo, con alti e bassi non ancora finiti, i primi due diritti sono stati riconosciuti dalle legislazioni nazionali, pur sopravvivendo all’interno diverse interpretazioni (come la pena di morte per violazione del diritto alla vita e le limitazioni al diritto di espressione e di movimento delle persone); il terzo resta invece sotto continua discussione e il quarto divide ancora profondamente la teoria e la pratica politica.
Agli albori del processo l’eguaglianza è stata individuata come uno stato dell’individuo «di fronte alla legge», ma poi si è ampliata per accogliere il suo stato «di fronte alle risorse», trasformandosi in un problema di «giustizia sociale», un obietto difficile da definire, oltre che in continua espansione nei contenuti.
Il socialismo si contrappose al liberalismo privilegiando i diritti della collettività sui diritti individuali. Ne è conseguito un mutamento dello Stato da tutore delle libertà individuali a tutore delle libertà collettive, come definite dalle diverse concezioni di giustizia sociale che si affermavano nello spazio e nel tempo.
Il punto di svolta di questo mutamento viene di consueto individuato nell’opera di due liberali: Beveridge e Keynes, che proposero le politiche di welfare (1942) e di piena occupazione (1944), ma ancor prima, nel 1941, F.D. Roosevelt anticipò questa rivoluzione sociale nel suo celebre discorso al Congresso americano, al quale seguirono concrete decisioni alla fine della Guerra.
Le quattro libertà proposte da Roosevelt sono:
- di parola e di espressione;
- di adorare il proprio Dio;
- di avere una vita sana in tempo di pace (così indicando il contenuto da dare alla libertà dal bisogno);
- di essere libero dalla paura (individuato nella riduzione degli armamenti).
Per ciascuna libertà aggiunse che essa avrebbe dovuto essere garantita «in qualsiasi parte del mondo».
Anche sulle conquiste delle libertà riguardanti il funzionamento del mercato il processo ha richiesto molto tempo. La prima battaglia fu quella dell’abbattimento dei vincoli agli scambi internazionali di grano, un tema sul quale si è formata la scienza economica, per poi pervenire a una regola più generale secondo cui la «mano invisibile» proposta da Adam Smith opera in modo tale da garantire la gestione più razionale delle risorse e la migliore distribuzione del reddito, purché gli scambi avvengano in regime di libera competizione.
Poiché il mercato perfettamente competitivo non esiste in pratica, i Parlamenti dovrebbero essere chiamati a trovare un equilibrio tra metodo commutativo (tesi di Hayek) e metodo redistributivo; la democrazia di massa ha spostato l’asse delle scelte sul secondo, trascurando di curare il buon funzionamento del primo, anzi considerandolo un meccanismo che ha effetti distorsivi sulla distribuzione del reddito a favore del capitale.
Secondo la concezione prevalente, la giustizia sociale assume la forma di una lotta perenne tra capitale e lavoro, alimentando le forme estreme del liberalismo (il laissdez-faire o liberismo) e del socialismo (il comunismo rivoluzionario), indebolendo sia i diritti individuali, sia quelli collettivi. Inoltre il liberalismo si è messo a inseguire le istanze del socialismo e questo, a sua volta, si è caricato di garantire alcune istanze liberali, senza che né l’uno, né l’altro siano stati capaci di raggiugere il successo, ma hanno aperto la strada, dopo la sconfitta del comunismo, al ritorno di forme di governo liberiste.
Nelle sue forme globali, il mercato ha sempre più dominato le scelte dei Parlamenti e la democrazia di massa ha inseguito la redistribuzione dei redditi attraverso le tasse, le spese e l’indebitamento, venendosi a trovare, appena mezzo secolo dopo l’affermazione di questi regimi sociali, di fronte a una distribuzione del reddito ancora più concentrata sulle fasce sociali già benestanti.
Lo Stato ha perso autorità e prestigio non essendo riuscito a garantire i diritti individuali, né soddisfare quelli sociali.
Non riscendo a trovare un equilibrio nel funzionamento delle tre istituzioni di base del sistema delle libertà, i paesi di sono organizzati privilegiando una o più delle componenti. L’Unione Europea ha privilegiato il mercato comune, sottomesso la democrazia di massa e negato lo Stato unitario; la Cina ha privilegiato lo Stato, sottomesso il mercato e negato la democrazia, almeno come l’Occidente la interpreta; gli Stati Uniti sono quelli che hanno tentato di mantenere un equilibrio tra democrazia, Stato e mercato, mutando il peso dato a ciascuna istituzione da governo a governo, di tempo in tempo.
Con la globalizzazione ha prevalso la timoligarchia (i più ricchi riuniti in gruppi di potere) che ha preso il potere che i sovrani avevano perduto sotto la spinta delle rivoluzioni popolari che avevano consentito l’avvento della democrazia, anche ispirate dalle elaborazioni dei filosofi politici.
Il nuovo legislatore sovrano, in forme occulte non facilmente individuabili (non si sa infatti chi comanda), ha riespropriato il legislatore collettivo e gli individui e gli Stati-nazione sono costretti a seguire le sue leggi in nome del buon funzionamento della competizione globale, divenuto l’obiettivo principale della convivenza geopolitica.
Le innovazioni tecnologiche e quelle finanziarie hanno causato modifiche epocali che richiedono una diversa organizzazione degli Stati-nazione e del mercato per ripristinare una democrazia dove sia il popolo a decidere le leggi che vanno rispettate.
Il lavoro manuale è sempre meno necessario, perché sostituito dai robot mossi da programmi di intelligenza artificiale, e l’uomo comune è spinto ai margini della società, senza che la politica proponga una soluzione diversa da quella di garantire la piena occupazione con una maggiore crescita reale con minore uso di lavoro (le riforme!), ossia la logica puramente produttiva e mercantile del vecchio modello di sviluppo.
Anche avvalendosi delle Innovazioni tecnologiche, la dimensione della ricchezza finanziaria sovrasta quella della ricchezza reale e il sistema regge finché i risparmiatori considerano le due forme equivalenti. Seguendo vecchi modelli di pura crescita, le banche centrali stanno creando moneta in quantità inusuale, senza avere un’idea di quali siano le conseguenze e di come si esca da questa “droga” distribuita ai mercati.
Perciò la disputa tutta europea tra politiche della domanda e dell’offerta sono prive di senso prospettico, perché perpetuano il vecchio modello di società e di Stato, ignorando la volontà popolare espressa in forme democratiche.
Occorre una nuova organizzazione sociale che impegni l’uomo in forme socialmente e culturalmente nuove.
E’ inoltre necessario una ridefinizione giuridica, anche fiscale, della ricchezza finanziaria rispetto a quella reale.
Ma soprattutto occorre conciliare il funzionamento delle tre istituzioni per impedire che l’una scacci l’altra, essendo tutte indispensabili per la sopravvivenza del sistema delle libertà.
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